L’uso del marchio altrui nella pubblicità
L’uso lecito del marchio altrui non è solo quello autorizzato dal titolare. Per questo è importante un disciplinare sull’uso del marchio nella pubblicità.
L’art. 5 del codice di proprietà industriale tratta il principio dell’esaurimento, secondo il quale il titolare del marchio perde la possibilità di esercitare i propri diritti di esclusiva dopo che il prodotto con quel marchio è stato messo in commercio dal titolare stesso o con il suo consenso.
Questo principio si combina con quello dell’art. 21 c.p.i. che nel diritto industriale legittima i casi di uso del marchio altrui e pone quale condizione generale il rispetto dei principi della correttezza professionale.
Applicazione pratica delle sintetiche premesse è quella del retailer che si occupa della vendita di un determinato bene al pubblico. Questi è certamente autorizzato ad utilizzare il marchio che contraddistingue quel bene e, persino, gli sarebbe vietato asportarlo.
L’aspetto che si vuol trattare è dunque quello della promozione dei prodotti recanti il marchio da parte del retailer. Infatti, il principio di esaurimento rende lecita sia la vendita, che la promozione pubblicitaria del prodotto e, dunque, del marchio.
Qualunque rivenditore al dettaglio pubblicizza i prodotti che vende e i marchi che li contraddistinguono. Di regola è titolare di un profilo social dove pubblicizza le nuove collezioni e i saldi di fine stagione e ciò è sufficiente a creare un’interruzione nella catena di promozione del brand; un’interruzione dell’unicità del messaggio impostato dal titolare del segno, del linguaggio e delle immagini utilizzati.
Il retailer ha interesse a promuovere la propria attività e non diffonderà un messaggio idoneo a danneggiare la reputazione del marchio, almeno non volontariamente. Dall’altra parte il titolare del segno ha l’interesse a mantenere un’unità delle modalità di presentazione del brand.
Le due esigenze non sono in conflitto, la loro coordinazione permetterebbe di acquisire vantaggi reciproci.
Questa coordinazione avviene attraverso la redazione di un disciplinare sull’uso del marchio da diffondere a tutti i livelli della catena commerciale, le cui condizioni possono descrivere:
- le modalità di promozione del marchio, ad esempio tramite l’indicazione degli hashtag da utilizzare, affinché tutti coloro che intendano pubblicizzare quel marchio utilizzino la stessa parola. In questo modo l’hashtag, qualora diverso dal marchio, o se usato per contraddistinguere un determinato prodotto o un determinato evento ( blackfriday, etc.), assumerebbe di per sé la valenza di segno distintivo;
- le modalità di realizzazione delle immagini, affinché si rafforzi la distintività della promozione stessa, oggi vittima di una comunicazione rapida. Anche lo stesso colore dello sfondo può diventare riconoscibile (pur se non distintivo) per l’utente che scorre freneticamente le immagini. Tra le regole da inserire anche quella inerente il posizionamento delle etichette (untag) o del prodotto stesso;
- i divieti di uso del marchio, ad esempio come nome di un profilo social, o in accostamento a segni distintivi di concorrenti, ovvero a segni di concorrenti tali da ledere la reputazione del marchio;
- le modalità di promozione del marchio tramite e-commerce, ad esempio fornendo materiale digitale comune, accessibile a tutti i livelli (fotografie prodotti, immagini dei loghi, testi etc.). Quest’ultimo punto è in accordo con quanto stabilito dalla Commissione Europea circa la nullità di quei divieti imposti al rivenditore sulla vendita on-line (divieti diretti o indiretti). La nullità è dettata dal fatto che il sito e-commerce costituisce una modalità di vendita passiva e non attiva, dunque, non limitabile, salvi i casi di tutela del marchio.
Il vantaggio commerciale per il titolare del marchio e per tutti gli anelli della catena commerciale sarà quello di attribuire al marchio stesso un’immagine unica, di sfruttare la notorietà acquisita e di controllare più facilmente la comunicazione a valle. Il retailer beneficerà di contenuti di qualità, risparmio di costi e ottimizzazione dei tempi.
Da un punto di vista legale, il disciplinare potrà prevedere penali a carico di coloro che non rispettino le regole, l’effetto sarà anche quello di concretizzare il concetto di scorrettezza professionale, traslandolo in inadempimento e, soprattutto, ciò consentirebbe di avere prove di maggiore incisività per la tutela del marchio (una per tutti la prova della rinomanza del segno) e per poter agire con più incisività contro usurpatori e contraffattori.