Pubblicità e concorrenza sleale tra imprese
La pubblicità può costituire il mezzo per realizzare un atto di concorrenza sleale?
Proprio perché rivolta al pubblico dei consumatori, la pubblicità è diretta a sviare la clientela del concorrente. Questa finalità è lecita, ma i mezzi con cui può essere attuata possono oltrepassare il confine tra liceità ed illiceità e costituire un atto contrario alla correttezza professionale.
La legge, in proposito, tratta della pubblicità ingannevole nel codice del consumo, identificando in via esemplificativa una serie di condotte che rispondono al principio generale secondo cui “le pratiche commerciali scorrette sono vietate” (art. 20 cod. cons.). Pur trattandosi di una normativa posta a tutela dei consumatori, la stessa può costituire parametro di riferimento per l’individuazione di possibili condotte di concorrenza sleale nei rapporti tra imprenditori. In proposito, l‘art. 2598 c.c., che tratta della concorrenza sleale, chiude l’elencazione delle condotte lesive della concorrenza, identificando con una formula ampia un’ulteriore condotta illecita in colui che “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Evidente è l’analogia con l’art. 2043 c.c., espressione del principio del neminem ledere, di cui l’art. 2598 c.c. costituisce specificazione rivolta ai rapporti imprenditoriali.
Ecco allora che la pratica commerciale scorretta, sanzionata a tutela dei consumatori, finisce per costituire un atto non conforme ai principi di buona fede nello svolgimento dell’attività economica e sanzionabile su iniziativa di un concorrente danneggiato. Essenziale è chiarire che l’equiparazione non è automatica; spetta all’impresa che intende agire nei confronti del concorrente scorretto provare gli elementi costituitivi della fattispecie.
L’analisi andrà quindi condotta caso per caso.
Esistono molti esempi in cui la violazione di regole in tema di pubblicità può essere idonea a costituire anche un atto di concorrenza sleale. In tali casi, pertanto, oltre alla violazione della disciplina specifica, si potrà avere anche una condotta idonea a costituire un atto di concorrenza sleale e quindi censurabile su iniziativa del concorrente anziché dell’autorità pubblica.
Alcuni esempi in cui la violazione di un precetto può riverberarsi anche nei rapporti tra imprenditori, possono rivenirsi:
- nella pubblicità comparativa, che per essere lecita deve rispettare alcune previsioni di legge;
- nella normativa relativa alle informazioni sui prodotti alimentari destinati al consumatore ( UE 1169/2011), che sancisce il dovere di identificare correttamente e in modo non ingannevole le materie prime di cui è composto un determinato prodotto. Ad esempio l’uso del termine “integrale” in prodotti in cui si utilizzano farine raffinate e malto d’orzo per la colorazione;
- nella normativa sull’origine non preferenziale delle merci del codice doganale comunitario ( UE 952/2013), che costituisce parametro di riferimento per l’accertamento delle condotte di falsa o fallace indicazione dell’origine delle merci (cd. “made in”);
- nelle discipline speciali che sanzionano l’ambush marketing (in Italia, ad esempio, varate in occasione dell’EXPO di Milano e delle Olimpiadi invernali di Torino), ossia la condotta di colui che sfrutta in modo parassitario un’iniziativa altrui senza affrontarne i costi di sponsorizzazione o sfruttamento dei diritti;
- nella tutela della privacy e, in particolare, nei vincoli posti all’utilizzo dei dati personali per finalità di marketing, laddove il concorrente che tratta illecitamente dati personali acquisisce un vantaggio commerciale, raggiungendo una clientela potenziale più ampia, mentre l’imprenditore che agisce lecitamente non può neppure tentare di acquisire tale clientela, in mancanza degli opportuni consensi e delle spese legate a tale acquisizione;
- nella tutela della proprietà industriale, laddove ad esempio il concorrente sfrutti come keyword il marchio di un terzo senza averne diritto. In tale ipotesi, il concorrente non potrà agire facendo valere la violazione di un diritto di esclusiva di un terzo, ma potrà scongiurare l‘indebito vantaggio commerciale acquisito attraverso l’uso degli strumenti offerti dalle norme della concorrenza sleale.